Lettera di Mauro da Cotiakou

21 Marzo 2020

Cotiakou, 18/03/2020
Care amici e care amiche, buongiorno o, come direi se incontrassi qualcuno qui a Cotiakou, Nayesù-na!
Ai tempi del covid-19 la domanda non è retorica o scontata: come state? Qui in missione, viviamo con un po’ di apprensione il nostro essere lontani da parenti ed amici e vi accompagniamo con la preghiera. È di qualche giorno fa la conferma di un primo e per ora unico caso a Cotonou. Per ora non sembrano esserci contagi nel Paese. Speriamo bene perché qui sarebbe un disastro. Se è difficile in Italia, qui è impossibile arginare un contagio prima che il numero di morti arrivi a far davvero paura.
Da canto nostro stiamo bene nonostante il caldo che ci toglie un po’ di energie e di sonno. Finite le papaye, i manghi sono in fiore e ci è stata regalata già qualche primizia, consumata con grande gioia in questo tempo povero di frutti, come pure è povero di acqua. Nel momento in cui vi scrivo, un vento fresco sta scuotendo le foglie degli alberi nella corte di casa: speriamo sia portatore della prima pioggia dell’anno, che almeno ci liberi dalla polvere ancora tanto presente nell’aria di questo angolo del nord del Benin.
Vi scrivo a metà del mio soggiorno qui a Cotiakou. Ormai ho dimenticato l’ansia che mi ha accompagnato negli ultimi giorni prima della partenza come pure ho superato l’impaccio dei primi giorni in missione, dove ho vissuto sì per due anni ma ormai cinque anni fa. Forse anche per colpa del delicato momento in Italia, sono già costretto a riflettere sul viaggio di ritorno. Ogni volta che torno, il tempo non è mai sufficiente. E di cose ne sono successe in questo mese.
In parrocchia c’è fermento, come sempre. La bellezza di una chiesa giovane come quella che è in Cotiakou è anche che ogni giorno si incontra l’occasione per riflettere su nuove proposte, aspetti ed iniziative. Difficilmente si avrà la risposta che non lascia scampo: “abbiamo sempre fatto così”. Dopo anni di accompagnamento fatto da missionari e catechisti da Cotiakou villaggio per villaggio, possiamo ora provare a far nascere da ognuna delle dieci comunità che fanno parte della parrocchia degli animatori. Nel mese di marzo si sono svolte le prime due sessioni di formazione e, inaspettatamente, tutte le comunità hanno inviato tre persone da loro individuate come referenti. Ad essere onesti, tutte tranne Nowererè ma ci stiamo lavorando. Seppure nella difficoltà di dover stare due giorni fuori casa, sono arrivate anche delle donne. È tutto lavoro dello Spirito Santo. La mia preghiera è di essere abbastanza testimone gioioso e credibile della mia fede.
Questo è stato anche tempo di incontri.
Innanzitutto ho rincontrato la nostra scuola con il collegio delle bambine. Da quando è stato inaugurato ha sempre registrato il tutto esaurito ed anche per questo anno scolastico 60 bimbe vengono accudite grazie al sostegno della missione.
Ho rincontrato Jules. Nel 2015, quando ottenne al primo tentativo e con pieno merito il suo BEPC (grosso modo un diploma per il nostro biennio), mi ha accompagnato in un viaggio al sud del Paese. Ha continuato i suoi studi e da settembre è postulante al Fatebenefratelli di Tanguieta. L’ho incontrato di domenica, durante il ritiro spirituale della sua comunità. L’ho sottratto alla preghiera ma solo per un abbraccio. In quei giorni ancora si poteva. Dalla settimana dopo la Conferenza Episcopale Beninese ha deciso di sospendere il segno di pace durante le celebrazioni come misura preventiva. Anche qui c’è la distanza di sicurezza di un metro.
È stato bello rivedere Célestin, all’epoca maestro ed ora direttore di una scuola primaria. Anche sua moglie ha terminato la scuola di abilitazione all’insegnamento ed ora è una maestra. Quando, qualche anno fa, ci sono stati problemi di salute nella sua famiglia e lui non ce la faceva da solo, è bastato il piccolo aiuto di una mia cara amica dall’Italia per fargli superare il momento difficile. Il poco che possiamo fare, a volte, è sufficiente per dare la svolta nella vita di qualcun altro.
Proprio ieri è rimasto a pranzo con noi Mathieu, il direttore del collegio di Cotiakou. È una persona che stimo molto per il suo lavoro con gli studenti. La scuola è praticamente nata e resiste in gran parte grazie al suo impegno, speso villaggio per villaggio, famiglia per famiglia. In pochi anni gli iscritti alla classe sesta (più o meno la nostra prima media) sono passati da 18 a circa 100 ed in totale oggi ci sono oltre 300 ragazzi e ragazze di Cotiakou e dintorni che studiano per avere la possibilità di un futuro diverso da quello garantito dalla sola zappa. Mathieu ci ha raccontato una storia triste: non arrivano più studenti dal villaggio di Manougou, vicino ma non troppo. Purtroppo un camion ha investito una studentessa mentre arrivava a scuola e quindi nessuno si arrischia più ad inviare i propri figli. Tra gli studenti del CEG infatti molti sono pendolari a piedi. Anche 7-8 km per arrivare a scuola ed altrettanti per rientrare a casa la sera. Almeno qui non devono scioperare per i termosifoni spenti.
Molti dei ragazzi del villaggio sono ormai partiti per continuare gli studi o cercare di mettersi alle spalle la povertà di Cotiakou. Alcuni tra loro hanno fatto la scelta di diventare infermieri. In Burkina Faso – siamo a 70 km dal confine – c’è un ottimo centro di formazione infermieristica. Naturalmente è privato e non proprio a buon mercato. Il pubblico non ce la fa proprio da queste parti e l’istruzione non è certo tra le priorità date dal Fondo Monetario Internazionale. Allora come Chiesa, si cerca di sostenere nei propri sogni gli amici di cammino.
Insieme con don Amedeo e don Francis, questo è anche per noi tempo di sognare a partire dalla realtà che ogni giorno incontriamo sulle strade polverose, tra le abitazioni del villaggio, negli occhi dei nostri vicini di casa.
Il sogno più grande è quello di uno studentato per gli alunni del collegio. Una struttura che possa ospitare i tanti pendolari ma soprattutto i ragazzi che vivono nei villaggi più lontani dalla scuola e che sono quindi impossibilitati a frequentarla.
Di pari passo sentiamo forte il bisogno di proteggere e valorizzare la cultura del popolo waama con la creazione di un centro culturale. La missione non può e non deve essere un’ulteriore forma di colonizzazione. C’è tanto di buono che potrebbe servire anche a noi. Il valore dell’anziano, dell’accoglienza e la centralità della vita spirituale sono cose che gli amici di Cotiakou possono spiegarci con la loro vita e la loro tradizione.
Tanti altri sogni arriveranno continuando a camminare in questa terra e voglio concludere con il ringraziamento a chi vuole condividere e a chi ha già condiviso le strade della missione, in varie forme. Non per forza si deve arrivare qui per accompagnare questa storia.
Vi abbraccio tutti e ciascuno in modo particolare. Ci vediamo in Italia.
Mauro.